Vennero gli anni di piombo e, con essi, la paura di uscire e di partecipare ai dibattiti che il “Perini” puntualmente programmava per affermare i valori della libertà, della democrazia e del civile e democratico confronto.
Nonostante tutto, il pubblico seguitava a partecipare alle manifestazioni del Circolo Perini, grazie ai grandi personaggi del mondo politico e culturale che facevano a gara per parlare ai cittadini della periferia milanese. Ci furono anche tristi serate di dibattito in cui l’intimidazione e la prevaricazione presero il sopravvento a causa delle “arrabbiate” frange filoterroriste. Ma l’impegno di presenza e di testimonianza culturale proseguivano con rinnovato successo.
Il Presidente Antonio Iosa aveva messo in cantiere l’aggressione da parte di qualche tossicodipendente: venne, al contrario, l’attentato vile delle brigate rosse, nella serata del 1 aprile del 1980. Da allora il Presidente ha portato per tutta la vita i segni indelebili d’invalidità permanente per tale atto di violenza terroristica.
Un commando di quattro terroristi delle brigate rosse, appartenenti alla colonna “Walter Alasia”, fecero un’azione di rappresaglia contro una sezione periferica della DC, per vendicare l’uccisione di quattro terroristi nel covo di via Fracchia a Genova, da parte dei carabinieri dell’antiterrorismo.
I brigatisti rossi di Milano avevano deciso d vendicare i loro compagni, facendo saltare le cervella a quattro democristiani, sorpresi nel corso di una conferenza riservata ai soci della sezione in via Mottarone, 5 a Milano. Durante l’irruzione i quattro terroristi, imbavagliati e incappucciati, definirono “un covo la sezione della DC”. Iosa fu il primo ad essere scelto come obiettivo primario per il rito dell’esecuzione sommaria. La cosiddetta “giustizia proletaria” non perdona! Iosa era colpevole, come “verme democristiano”. Ero accusato di “ingannare i proletari e sottoproletari dei quartieri periferici di Milano, facendo cultura, con il Circolo Carlo Perini, per il sistema politico dominante”.
La mia condanna a morte non ammetteva pietà e i terroristi mi sospinsero, assieme ad altri tre amici, in fondo alla sala per l’esecuzione sommaria. Di quella sera m’è rimasto il ricordo della pistola puntata alla tempia, il terrorista che dice “se reagite sarà una carneficina”, io che lo supplico di risparmiarmi (“ho moglie e figli”), lui mi spinge contro la parete: “Inginocchiati stronzo!”. Poi rivedo solo lo sparo, l’improvvisa vampa alla gamba. Non c’è dolore, solo un calore insopportabile.
Dopo l’attentato, alcuni membri del Direttivo si spaventarono e non fecero più ritorno.
La motivazione di tale diserzione fu l’accusa che il Perini fosse ormai diventato un circolo troppo politicizzato e poco culturale, un luogo, insomma, in cui chi vi si recava poteva mettere a repentaglio la propria incolumità personale.
Aveva ragione Don Abbondio: “se uno il coraggio non c’è l’ ha, non può darselo!”.
Durante il periodo della degenza e convalescenza del Presidente, l’attività fu sospesa per sei mesi, ma già nell’ottobre del 1980 lo scrittore Carlo Castellaneta e il Sindaco Carlo Tognoli riaprirono il nuovo anno sociale con un dibattito sui problemi della città.
Per tutti gli anni ‘80 si accentuò il dialogo fra istituzioni e società civile e il Circolo supplì al discredito che veniva a colpire la credibilità delle forze politiche. La sua linea culturale fu quella di esaltare il dialogo fra istituzioni e cittadini e, in questo decennio, il “Perini” fu il più importante punto di riferimento della società civile milanese e lombarda.