2 – Gli anni di piombo e il terrorismo nelle fabbriche
Il terrorismo nelle fabbriche milanesi e il caso emblematico dell’Alfa Romeo di Arese
Le prime brigate rosse nascono a Milano nei quartieri popolari di Lorenteggio e Quarto Oggiaro. Nel 1970 nascono negli stabilimenti della Pirelli, della Sit Siemens e dell’Alfa Romeo i primi nuclei operai autonomi che poi daranno vita alle Brigate Rosse a Milano, mentre a Torino prendono piede negli stabilimenti della Fiat e a Genova in quelli dell’Italsider. Dal 1968 al 1975 autonomia operaia costituisce i primi nuclei del terrorismo nelle fabbriche milanesi come: l’Alfa Romeo, la Sit Siemens, l’Italtel, la Breda, la Falck, la Ercole Marelli, la Magneti Marelli, Montedison, Pirelli, Fiat-OM, Leyland Innocenti, Italtrafo, Chimical Bank, Società Icmesa, Società Vanossi, ditta Iseo…Alcuni dirigenti di questi stabilimenti furono uccisi (Briano, Mazzanti, Paolella, Frasca), 16 furono feriti ( Di Marco, Toma, Restelli, Rucano, Silini, D’Ambrosio, Marracani, Grassini, Segala, Degli Innocenti, Astarita, Giacomazzi, Manca, Bestonso, Miraglia, Dellera, Caramello) , due sequestrati, molti altri minacciati. Vi furono anche armi sottratte ai vigilantes e poi attentati con atti di sabotaggio agli impianti industriali e tentativi d’incendio, in un tragico disegno di violenza, d’intimidazione e di morte. Il terrorismo allignava tra la classe operaia all’insegna dello slogan “un salario di merda, un lavoro di merda”. L’Alfa Romeo, la grande casa automobilistica dell’IRI, fu protagonista di gravi episodi di terrorismo in fabbrica, ove esisteva una brigata terroristica con cellule armate, che cercava consensi e faceva proseliti fra i 20 mila operai dello stabilimento. Molto dipendenti furono arrestati, altri furono costretti a darsi alla latitanza.
L’Alfa Romeo sorse nel 1906 sull’area del Portello e nel 1963, nasce il nuovo e gigantesco stabilimento di Arese per affiancarsi a quello storico del “Portello di Milano”, per passare così dalla produzione della piccola serie a quella della grande serie automobilistica, con una potenzialità di 500 auto al giorno, con la realizzazione del primo modello che fu la “Giulia”, a cui seguirono, dal 1975, la “Giulietta”, la prestigiosa “Gtv” e la spider “Duetto”. Il terrorismo prese piede anche in questa fabbrica, perché i lavoratori dell’Alfa sono stati sempre protagonisti e all’avanguardia dalle lotte sindacali “dell’autunno caldo” per rivendicare lo “Statuto dei Lavoratori”, alle lotte interne all’Alfa per ottenere migliori condizioni lavorative e retributive dei dipendenti, sempre, con metodi pacifici e democratici. L’Alfa Romeo era, quindi, il simbolo dell’organizzazione del lavoro che aveva portato, verso la fi ne degli anni’70, ad un accordo, che cambiava profondamente le modalità del sistema produttivo e valorizzava la professionalità all’interno delle linee di produzione.
Agli inizi degli anni ’80, l’Alfa divenne il laboratorio sociale per l’unità sindacale ed ottenne conquiste per il controllo dell’organizzazione e delle condizioni di lavoro, in alternativa al taylorismo per lo sviluppo del Sud, per la democrazia contro il terrorismo. Il Consiglio di fabbrica era l’espressione di tutte le categorie e professionalità presenti all’Alfa. Fu conseguenza naturale vedere tutti i lavoratori dell’Alfa in lotta per la stagione delle conquiste di nuovi diritti nella contrattazione del lavoro, che ebbe il suo culmine nel 1981. Tali obiettivi s’intrecciarono con le proposte di risanamento economico e produttivo della fabbrica, tanto che, già nel 1978, si raggiunse l’accordo dei sabati lavorativi per produrre la “nuova Giulietta”. In quella occasione emerse con forza l’attacco terroristico contro il sindacato di fabbrica. I dipendenti, nonostante i sabotaggi e gli attentati, andarono in massa a lavorare, realizzando la produzione prevista.
Ad una strategia operaia e sindacale collaborativa e conflittuale, si contrappose il gruppo dell’autonomia operaia, che aveva addentellati con il terrorismo delle brigate rosse. All’interno dell’azienda aveva preso piede una loro brigata organizzata. Gli episodi di terrorismo interno furono innumerevoli, dal ferimento di alcuni dirigenti, all’uccisione di una guardia, da attentati dinamitardi a intimidazioni contro i più attivi esponenti dei sindacati storici (CGIL-CISL-UIL), insultati come “berlingueriani”, fautori del compromesso storico con la D.C. La lotta per erodere il potere dei sindacati tradizionali fu aspra all’interno di molte fabbriche milanesi, ove operavano gruppi di “autonomia operaia (i Cobas)”, ma il loro intreccio perverso con la violenza brigatista, alienò, presto, il consenso dei lavoratori abituati a condurre le battaglie sindacali con metodi democratici e non rivoluzionari con azioni violente e assassine. Era il periodo che, all’interno delle fabbriche, i Cobas buttavano giù dal palco, durante le assemblee, i rappresentanti dei sindacati storici.
La guerriglia rossa aveva messo in pratica la schedatura degli avversari politici e sindacali con nomi, abitudini, targa e tipo di macchina. Già nel 1970, il settimanale fascista “Candido” pubblicava l’elenco dei militanti di sinistra e il giornale “Lotta Continua” pubblicava quelli dei militanti di destra. La chiamavano” Controinformazione”, ma era un’incitazione alla rappresaglia e al linciaggio.
Questo avvenne anche nelle fabbriche milanesi con azioni eversive e omicidi. Nello stabilimento dell’Alfa il culmine dell’attacco terroristico si ebbe proprio nel 1981, in occasione dell’accordo sui gruppi di produzione, per migliorare le condizioni di lavoro e di produttività in fabbrica. Fece, all’epoca, scalpore il rapimento del dirigente, ing. Renzo Sandrucci. Tale sequestro, secondo i farneticanti comunicati brigatisti, mirava a “smascherare i traditori della classe operaia, annidati nel sindacato e berlingueriani”. Si ricorda che nello stabilimento di Arese, il 3/06/1981, fu ucciso Antonio Frasca, addetto alla vigilanza e furono feriti ben quattro dipendenti: Domenico Segala, Ippolito Bestonso, Pietro Dellera, Aldo Grassini.
Il terrorismo in fabbrica fu sconfitto dai lavoratori che si mobilitarono e respinsero le tesi politiche delle brigate rosse, isolando coloro che commettevano violenze e assassinii e, dopo l’uccisione del sindacalista Guido Rossa a Genova, tutti i lavoratori milanesi parteciparono alla lotta contro il terrorismo, nemico della classe operaia e a difesa della democrazia e degli stessi impianti produttivi delle fabbriche. I Sindacati a livello milanese e nazionale furono in prima fi la contro il terrorismo nero fascista e rosso brigatista per garantire l’ordinamento dello Stato repubblicano e democratico.
Il radicamento della collaborazione tra operai, capi e quadri tecnici fu lentamente smantellato dal 1987, allorché l’Alfa Romeo fu ceduta dall’IRI al gruppo FIAT che, divenuto proprietario dello stabilimento di Arese, dal 1989 anziché salvaguardare i posti di lavoro, come aveva promesso all’atto dell’acquisto, iniziò a licenziare i dipendenti sindacalizzati, a ridurre, gradualmente, la produzione automobilistica, sino alla sua definitiva chiusura.
A partire dal 2000 dallo stabilimento di Arese non escono più auto. Con il trasferimento a Torino, dal gennaio 2010, degli ultimi 232 dipendenti, un’area dello stabilimento di due milioni di metri quadrati, ora si è ridotta a 346. Il gigantesco cancello, sempre in vista, da circa 10 anni è chiuso alla presenza degli operai e sancisce la fine della storia dell’industria automobilistica nel capoluogo lombardo.