3 – Il terrorismo nelle fabbriche milanesi e il caso dell’Alfa Romeo
Lo stragismo dei terroristi neri e l’assalto fascista al Circolo culturale Carlo Perini
Penso a piazza Fontana, ad un lontano 12 dicembre 1969, a quella bomba contro il popolo nella Banca Nazionale dell’Agricoltura. Mi trovavo appena a 150 metri dal luogo dello scoppio, in quanto lavoravo come impiegato nello stabile del Comune di Milano in via Larga. La madre di tutte le stragi provocò il massacro di 17 cittadini innocenti e 88 feriti e fu la pietra miliare del nascente terrorismo in Italia, che insanguinò per oltre un decennio la nostra storia e che divenne una tragedia nazionale. È davvero così tanto lontano quel 12 dicembre del 1969, che segnò l’inizio della strategia degli opposti estremismi? Sono passati 40 anni e siamo ancora alla ricerca di verità e giustizia, tra depistaggi magistralmente pilotati dai servizi segreti deviati nostrani con intrecci perversi col terrorismo nero. I tentativi per arrivare alla verità su quella bomba sono stati sempre bloccati per una ragione o per l’altra. La magistratura, costretta ad inseguire dapprima il labirinto della pista anarchica, poi quella della pista nera fu costretta a spostare il processo a Catanzaro per presunta legittima suspicione, per poi passare a Bari e ritornare, dopo decenni, nella sede naturale della strage. La magistratura aveva trovato un primo sprazzo di verità dopo 32 anni, con la sentenza emessa in primo grado di giudizio dal Tribunale di Milano. La sentenza condannava all’ergastolo i tre presunti colpevoli della strage: Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi e Giancarlo Rognoni, tutti fascisti di Ordine Nuovo.
Si osserva amaramente che il processo di primo grado concluso nel giugno del 2001, non è stato il primo per piazza Fontana. Dopo l’assoluzione per la strage delle Questura di Milano, anche per piazza Fontana si è verificato lo stesso esito. Nel 2003 la Corte di Appello di Milano ha, infatti, annullato la condanna di primo grado per i fascisti imputati di strage per insufficienze di prove e il 2 maggio 2005 la Cassazione ha assolto, definitivamente, tutti gli imputati. I criminali autori di tale follia non avranno mai un volto, anche se la sentenza attribuisce la strage a Franco Freda e Giovanni Ventura, ma costoro, essendo stati assolti nel processo di Catanzaro, non sono passibili di ulteriore condanna. La strage, senza colpevoli e con ben cinque processi, esprime solo la consapevolezza, nella coscienza collettiva, dell’odiosa matrice politica del terrorismo nero e della destra eversiva neonazista, che ha tramato contro l’ordinamento costituzionale dello Stato Democratico in combutta con spezzoni dei servizi segreti deviati.
Si ricorda che, a quel tempo e per tutti gli anni ‘70, era di moda la teoria degli opposti estremismi e i gruppi neofascisti imperversavano e assoldavano squadre di picchiatori e si radunavano in gruppi ideologici sovversivi bene organizzati che sapevano manovrare bene il coltello e l’asta della bandiera tricolore per ferire gli avversari politici. Ben noti i giovani neofascisti del gruppo lombardo “La Fenice” e quelli veneti della “Rosa dei Venti” appartenenti al movimento di estrema destra “Ordine Nuovo”. I primi furono anche quelli che, con squadre di picchiatori assoldati da tutta la Regione Lombardia (Varese, Bergamo, Brescia, Pavia… Sesto San Giovanni, Monza, Milano), assalirono i partecipanti al dibattito antifascista promosso dal Circolo Carlo Perini sul tema“il comportamento della magistratura di fronte agli aspetti nuovi del fascismo”. Era la sera del 21 giugno del 1971! Fioccarono biglie d’acciaio, furono scagliati sassi con le fi onde, piovvero biglie di ferro lanciate con le fionde, bottiglie molotov, razzi sparati da pistole in libera vendita anche nei grandi magazzini e candelotti incendiari. Furono sparati colpi d’arma da fuoco che ferirono alla tempia il pittore Giovanni Cocco, per fortuna in modo non grave, uno dei partecipanti al dibattito. Il proiettile lo colpì, solo di striscio, alla testa. La sede fu completamente devastata dai circa 80 picchiatori che infransero tutte le vetrate, rovesciarono e saccheggiarono, all’esterno, le macchine dei loro avversari politici presenti alla conferenza e arroccati nell’interno del Centro
sociale di via Val Trompia a Quarto Oggiaro, nascondendosi sotto i tavoli o dietro le colonne per non essere colpiti. Il pittore Giovanni Cocco fu ferito alla tempia da un colpo trapassante da una pistola Flobert cal. 6, due i feriti e diversi furono i contusi. Nei giorni seguenti una quindicina di noti fascisti assalitori furono individuati e denunciati per possesso di armi, di catene e di altri oggetti contundenti. Si trattava degli esponenti più in vista dell’eversione nera in Lombardia, composta da noti provocatori e picchiatori fascisti, molti dei quali, ben protetti da settori deviati dei Servizi Segreti dello Stato. Alcuni di questi giovani protagonisti della violenza furono, alcuni anni dopo, anche indagati e sospettati per collegamenti e contatti avuti con i sanguinari artefici della strage in piazza della Loggia, avvenuta a Brescia nel maggio del 1974, ove si contarono 8 morti e 103 feriti senza trovare prove della loro complicità. Il processo per l’assalto fascista al Circolo culturale Carlo Perini fu trasferito al Tribunale di Venezia, per legittima suspicione, in quanto fra gli oratori assaliti vi era anche un noto magistrato democratico di Milano: il dr. Domenico Pulitanò. I giovani fascisti nel processo a Milano furono difesi dagli avvocati sen. Gastone Nencioni, Benito Bollati Consigliere comunale ed Enrico Pedenovi del MSI., Consigliere provinciale. Cessato il clamore della strumentalizzazione politica dell’evento, il processo, allontanato da Milano ed assegnato alla magistratura di Venezia, cadde nel dimenticatoio, anche perché il Circolo Perini non era in grado di sostenere le spese di procurarsi uno studio legale per la costituzione di parte civile, al fine di accelerare le fasi del processo fuori Milano.
L’udienza si tenne solo il 27 febbraio del 1979 e tutti i neofascisti imputati furono condannati a meno di due anni di carcere e il reato si estinse per prescrizione dei termini.
Nella sentenza gli imputati furono condannati a meno di due anni di reclusione:
per avere provocato disordini, fatto scoppiare ordigni esplosivi confezionati con bottiglie, di cooperazione criminosa alle persone e minaccia, della distruzione delle vetrate, del danneggiamento dei muri perimetrali, dello sfondamento di una serratura e dell’infisso in ferro di una finestra, ed inoltre dell’incendio di un ciclomotore Piaggio, nonché del danneggiamento dell’autovettura di Marra Francesco e di altri delitti per il ferimento del pittore Giovanni Cocco e per il reperimento di armi improprie nelle abitazioni degli imputati”.
La condanna a 1 anno e 7 mesi di reclusione cadde in prescrizione per decorrenza dei termini dal fatto criminoso. I reati ascritti di violenza privata, lesioni, minacce, danneggiamento e violazione di domicilio non ebbero alcuna conseguenza, come pure la condanna si concluse con la sospensione della pena, inferiore alla comminatoria di legge. La stessa condanna degli imputati al pagamento in solido del risarcimento dei danni alla parte civile non ebbe più seguito da parte dei rappresentanti del Circolo culturale Carlo Perini, perché non ne valeva la pena.
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Le stragi impunite
A conclusione emerge l’amara riflessione sull’impunità dello stragismo in Italia. Il massacro impunito della strage di piazza Fontana e della strage di piazza della Loggia Brescia, compiuto dalla destra eversiva raggiunse, molti anni dopo, il suo culmine nell’infame strage fascista alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, che causò l’eccidio di 85 cittadini innocenti e il ferimento di 200 persone. Tutte le stragi sono rimaste impunite, anche dove è stata tardivamente accertata la verità.
Nel caso dell’eccidio alla stazione di Bologna si favoleggia che il disastro fu provocato da una rappresaglia dei servizi segreti libici o dei servizi segreti francesi. La verità completa stenta a venire a galla. Sono stati condannati Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, ma rimane il grande buco nero delle connivenze della P2 e con alcuni esponenti dei Servizi Segreti deviati colpevoli di collusioni e depistaggi.
Forse solo l’abolizione del Segreto di Stato ne potrebbe svelare i misteri e gli intrighi delle stragi impunite e dei loro mandanti. Da oltre 26 anni sono delegato a rappresentare l’Associazione Italiana Vittime del Terrorismo, con sede a Torino, in occasione dell’anniversario della strage: “Bologna non dimentica la strage del 2 agosto”. Ho avuto, così, modo di conoscere non solo i dirigenti dell’Associazione, ma anche moltissimi familiari delle vittime della strage.
Ogni anno partecipo alla loro assemblea, che si tiene dopo la commemorazione ufficiale, che vede protagonisti esponenti rappresentativi del Governo, delle Forze dell’Ordine, delle istituzioni nazionali e locali (Comuni, Province, Regioni), provenienti da tutte le regioni italiane. Molti gruppi e associazioni della società civile e rappresentanti dei partiti politici e sindacali partecipano, annualmente, commossi al grande corteo del 2 agosto. La storia ci ha insegnato che in momenti difficili il Paese, attraverso la sua cittadinanza, ha espresso una tenuta democratica e una capacità di resistere ad una svolta autoritaria che l’avrebbe esposta a qualsiasi torbida avventura politica. Ci furono allora una guida e un richiamo ai valori democratici sanciti dalla Costituzione, che spazzò via ambiguità, macchinazioni, ostacoli, insidie, sbocchi politici impraticabili e che segnarono la disfatta del terrorismo e dello stragismo.