L’eversione di destra e l’eversione di sinistra
La cronistoria degli “anni di piombo in Italia”, si concentra dal 1969 al 1984, alla quale va aggiunto lo strascico terroristico di questi ultimi 15 anni, con i caduti negli attentati del residuo neoterrorismo brigatista. Nel solo 1979, anno di massima espansione del terrorismo in Italia, si registrarono 2.200 attentati, firmati da 215 sigle di sinistra e 55 di destra, con 22 morti e 149 feriti. Milano, Torino, Genova, Padova, Venezia, Firenze, Roma e Napoli furono l’epicentro di quella sconvolgente stagione eversiva, iniziata con la “strage di piazza Fontana a Milano” del 12 dicembre 1969 e la conseguente strategia stragista.
I morti per atti di terrorismo ad opera delle brigate rosse sono stati 180 (11 magistrati, 59 civili, 110 delle Forze dell’Ordine e Forze Armate). 47 sono gli uccisi per atti di violenza o scontro politico: 26 giovani di sinistra sono stati assassinati da militanti di destra e 21 i morti di destra uccisi da militanti di sinistra. La sola città di Milano, durante il periodo della strategia della tensione e degli opposti estremismi, ne contò ben 18.
Le vittime per stragi, a partire da quella di Portella della Ginestra a quelle di Fiumicino e di Ustica, ammontano a 310, alle quali vanno aggiunte le 68 vittime delle guerre in Iraq e Afghanistan e le 33 vittime civili uccise, in attentati nei diversi Paesi del mondo, dal terrorismo fondamentalista islamico. I morti i per atti di terrorismo e di strage di tale matrice, durante gli anni di piombo, 1969-1987, furono 489 e i feriti 1.351 che, compresi quelli per atti di scontri politici, furono 5.550. Gli attentati compiuti per atti di violenza politica ammontano a ben 15.000 dei quali 14.591 compiuti dal 1969 al 1987, secondo i dati del ministero dell’Interno. Gli italiani caduti nella guerra in Iraq sono 39, dei quali 32 militari uccisi in azione di attacchi, attentati o incidenti e 7 civili, fra i quali il funzionario Nicola Lipari. Ben 19 sono stati i caduti in Iraq nella I strage di Nassiriya, 4 nella II strage e 1 nel terzo attentato. In Afghanistan i militari caduti, in attentati e incidenti vari, sono stati 22, ai quali si aggiunge la vittima civile, Maria Grazia Cutuli, giornalista del Corriere della Sera. Aggiornando il quadro complessivo delle vittime di terrorismo e di stragi di tale matrice interno e internazionale (comprese le vittime civili del terrorismo islamico e i caduti in Iraq e Afghanistan) se ne contano ben 547, escludendo i caduti civili e quelli del dovere per mafia e per criminalità organizzata.
a) il manuale delle guardie nere:
lo stragismo e gli obbiettivi mirati dei Nar, Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale
Il terrorismo nero o fascista non è frutto di un fenomeno a dispetto o di odio contro la società dalla quale si sente isolato. Essa si pone in contesti eversivi all’interno dei quali sono riconducibili le attività stragiste.
L’eversione nera si è mossa nella logica di favorire un cambiamento a destra del quadro politico e istituzionale, auspicando svolte involutive, antidemocratiche, autoritarie o di blocco d’ordine. Gli anni ’70 furono l’epoca in cui nel Paese imperversavano i tentativi golpisti dell’estrema destra pilotati da uomini dei servizi segreti deviati, mentre numerosi gruppi neofascisti assoldavano squadre di picchiatori e si radunavano in cellule eversive bene organizzate per compiere stragi. Tale triste periodo vide in auge il “manuale delle guardie nere”, che insegnava che la violenza non è un capriccio, ma una necessità chirurgica, e addirittura una virtù. Una dolorosa necessità, profondamente morale, per la disinfestazione materiale dei comunisti e si espresse nella lucida follia di odio e di terrorismo politico sfociato nello stragismo rimasto, sostanzialmente, impunito. La storia armata del neofascismo costituisce tuttora l’orribile e ancora impunita stagione stragista da piazza Fontana di quel 12 dicembre 1969 sino alle stragi sui treni. La destra storica eversiva si richiamava alla “disintegrazione del sistema”, propugnata dal terrorista Franco Freda, l’editore condannato per 21 dei 22 attentati del 1969. Lo stragismo ha goduto di un’oscurità totale dei mandanti e degli autori, a causa anche di impenetrabili depistaggi storiografi ci e fallimenti giudiziari. Per quanto riguarda i gruppi dell’eversione di destra molto noti erano i giovani neofascisti lombardi del gruppo “La Fenice” guidati da Giancarlo Rognoni; quelli veneti della “Rosa dei Venti”; quelli dei “Nar” di Roma che compirono 33 omicidi ed erano capeggiati da Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Pierluigi Ciavardini, Mario Tuti, Pierluigi Concutelli (questi due ultimi strangolarono in carcere Ermanno Buzzi un camerata balordo, che viveva di traffi ci illeciti); quelli di “Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale” fondati da Stefano delle Chiaie, tanto che negli anni ’66-67, c’erano molti contatti fra Avanguardia nazionale e i filocinesi di sinistra, contro il sistema. Solo negli anni successivi i due movimenti, coetanei di destra e di sinistra, si separarono, perché il potere aveva necessità di accreditare la politica degli opposti estremismi. Noto anche era il fronte di intellettuali e politici di destra Armando Plebe, Giano Accame, Giulio Caradonna, Guido Paglia, Mario Merlino, Lino Guaglianone ex tesoriere dei Nar e tanti altri militanti estremisti dei quali sarebbe lungo fare l’elenco e che oggi sono i cattivi maestri della nuova generazione di estremisti di destra. Come si ricorderà, Stefano della Chiaie e Mario Merlino sono archiviati dalla cronaca come due fra
i più grandi eversori della destra estrema.
Il primo accusato per la strage di piazza Fontana, per la strage della stazione di Bologna, per il golpe Borghese, per l’omicidio del generale cileno, Leighton, per conto del dittatore cileno Pinochet.
Il secondo è stato tre anni in galera, venti nei tribunali, per la strage di piazza Fontana, in particolare.
Alla fi ne, entrambi sempre assolti. Allo scrittore Mario Concutelli, si è aggiunto anche Mario Merlino che scrive libri e da venti anni insegna storia e filosofi a al liceo scientifico “F. D’Assisi” di Centocelle a Roma; ha tenuto corsi sulla Repubblica sociale e sulla guerra civile; ha parlato ai giovani camerati assieme al leader storico Stefano della Chiaie; che ha avuto un pub a Roma nel quartiere Casilina; ha gestito una tv privata a Lamezia Terme con “Tele Tirreno”, entrambi chiusi. Ora lavora per aprire una tv satellitare a Roma.
Illuminante risulta la vicenda dell’ex terrorista dei “Nar” Pierluigi Bragaglia, noto esponente dell’eversione di destra, ricercato dal 1982 è catturato solo il 4 luglio del 2008 in Brasile sul litorale di Ilhabella di San Paolo in Brasile. Bragaglia, 48 anni e ricercato da 26 anni, è membro di una famiglia facoltosa ed era stato condannato dalla Corte d’Appello di Roma a 15 anni di carcere per banda armata, rapina aggravata, sequestro di persona e detenzione e porto abusivo di armi da guerra. Dal 2007 la polizia italiana lo aveva individuato proprio in Brasile ed aveva, per questo, chiesto aiuto alle autorità brasiliane.
Il terrorista nero arrestato utilizzava un passaporto falso venezuelano ed era titolare di un piccolo albergo “Chalet do Paolo” ed era proprietario di un deposito di bevande. Durante la perquisizione è stata trovata una pistola nascosta sull’armadio. L’uomo è stato condotto nel carcere di San Paolo in attesa di estradizione.
Angelo Manfrin, ex terrorista nero di Ordine Nuovo, condannato nel ’90 con Fioravanti per l’omicidio dei carabinieri Codotto Enea il 5/02/1981 e Maronese Luigi 15/10/1974, hanno assunto gli onori della cronaca come organizzatore del traffico di droga arrestato con altre 19 trafficanti, il 28 ottobre 2008.
Non sono le sole “Madonne Pellegrine” di sinistra, ma anche i reduci dell’estremismo nero che, a distanza di 40 anni, ripercorrono i sentieri della storia. Mi sono rimasti, perciò vivamente impressi il clima di terrore nella stagione degli opposti estremismi e lo shock che ebbi non solo in occasione dell’assalto fascista al Circolo culturale Carlo Perini il 21 giugno del 1971, ma soprattutto in occasione dell’attentato terroristico di cui sono stato oggetto ad opera delle brigate rosse il 1 aprile 1980.
b) Il manuale delle “guardie rosse” e l’eversione della sinistra antagonista
Il terrorismo è considerato un crimine ed è dichiarato, dal potere costituito, come un comportamento illegittimo o eversione contro lo Stato. Al contrario i terroristi considerano lo Stato come oppressione e si fanno portatori di una giustizia primaria da restaurare. Il terrorismo si manifesta, pertanto, come antistato con la ferocia delle corti marziali, con la sospensione delle garanzie istituzionali e con l’esercitazione di una giustizia sommaria e spietata.
I riferimenti storici del terrorismo li troviamo nelle rivoluzioni francese e bolscevica, nelle guerre anticolonialiste soprattutto in quella d’Algeria, nella guerra del Vietnam e nelle guerriglie contro i regimi dittatoriali in Grecia e in America Latina, che imperversarono dagli anni ’60 agli anni Settanta.
In Italia la violenza politica è stata una bestia, che si è autoalimentata a dismisura, occupando la scena e imponendosi, con prepotenza, nella vita pubblica dal 1969 al 1984. Lo spettro della violenza dominò tale stagione lancinante di scontro fisico, di sangue, di deliri di annientamento del nemico politico. L’escalation della violenza, impastata di angoscia e tensione, sfociò nei gorghi di una deriva cruenta di attentati e di morte.
La violenza degli anni Settanta, prima teorizzata e poi praticata, disponeva di una diffusa ideologia, che forniva ai violenti legittimazione e credibilità del mito della palingenesi rivoluzionaria per abbattere le “Stato borghese” con tutti i mezzi, ricorrendo ad atti di “giustizia proletaria”.
Vi era forte il mito della presa violenta del potere, il mito della rivoluzione coltivata sulla spinta reattiva della strategia della tensione, l’ossessione del colpo di Stato autoritario, l’idea e il richiamo alla Resistenza e alla rivoluzione interrotta e tradita, dopo la sanguinosa guerra civile tra fascisti e antifascisti. La guerra sociale era lo strumento per portare al potere la classe operaia e contadina e si legittimò la pratica dell’annientamento politico dell’avversario.
La radicalizzazione della violenza e dello scontro politico, in una Stato democratico come l’Italia repubblicana, era destinata alla sconfitta e all’isolamento da parte delle masse e dei partiti democratici, che scelsero la legalità costituzionale, contro la barbarie e l’eversione del terrorismo.
L’incandescente materia del terrorismo può essere ricostruita come fenomenologia delle mutazioni pisco-patologiche – politiche di gruppi di esaltati, credenti in un’idea rivoluzionaria contro l’imperialismo americano e contro lo Stato democratico italiano. Non si tratta di fare un revisionismo storico, ma una semplice cronaca nera, seguendo la carriera
di questi facinorosi imprigionati e sconfitti, che avevano una grande voglia di fare la rivoluzione.
Il terrorismo rosso in Italia non ha origine da una semplice situazione di sfruttamento o d’inaccettabilità delle condizioni sociali, ma è portatore di una analisi storica della realtà politica italiana e di una sua logica intrinseca attraverso un’ideologia fi deistica e dogmatica, mutuata dai teorici della lotta armata che elaborarono la presa del potere dopo lo sconvolgimento del “Movimento del ‘68”, che non fu semplicemente anticamera del terrorismo.
Si trattava di un coerente disegno di strategia politica che utilizzava l’antagonismo armato per dare uno scrollone ad un sistema di potere e per attaccare uomini e simboli dello Stato, che sembrava, a loro giudizio, prossimo allo sfaldamento.
Si trattava anche di una sciagurata stagione di odio e di stupidità ideologica, che ingabbiò i protagonisti in antiquate ideologie rivoluzionarie sino a rimanerne schiacciati.
Dall’inizio della lotta armata nel 1974, i terroristi rossi hanno sempre firmato e rivendicato i loro proditorii attentati, anche quando, si sono macchiati di comportamenti delittuosi sfociati negli assassini più feroci e innaturali per captare il consenso delle masse popolari. Al contrario le loro azioni truculente e sanguinarie suscitarono ripulsa e rigetto da parte non solo della borghesia, ma anche dello stesso movimento operaio.
Il quadro della situazione politica italiana si è, di fatto, evoluto in senso contrario all’ipotesi rivoluzionaria brigatista con la tenuta e il rafforzamento dello Stato Democratico e, quindi, con la sconfitta degli sbocchi autoritari di destra e dell’eversione rivoluzionaria di sinistra.
La strategia brigatista priva, pertanto, di meccanismi di socializzazione e di consenso, entrò in crisi e portò alla sconfitta la gerarchizzazione del nucleo storico e condusse al fallimento la lotta armata della seconda e terza generazione
rivoluzionaria.
Dal 1979, il reclutamento di nuove leve di militanti, nasceva su impulsi spontaneistici ed emulativi di fragile ideologizzazione.
Tale arruolamento si è rivelato sempre più simile ad una costituzione di squadroni della morte di giovani delinquenti e criminali, che si organizzavano per colpire, semplicemente, inermi obiettivi e facili bersagli civili, piuttosto che scontrarsi con i rappresentanti del potere.
L’interpretazione dei fatti, in questa ricostruzione storica, segna il “requiem delle utopie rivoluzionarie”, che non ammette dignità alle motivazioni o elucubrazioni storiche addotte dagli ex terroristi per giustificare una stagione di sangue e una scelta armata, sostanzialmente, criminosi.
c) “Il libretto di Mao sulla rivoluzione permanente fu il manuale delle guardie rosse”.
Il libretto rosso cinese di Mao Tsé Tung, diede la stura ad una retorica rivoluzionaria giovanile, contagiata dalla malattia dei governi comunisti dell’Europa dell’Est, oppressivi e sanguinari. I gruppi della sinistra extraparlamentare partirono tutti all’attacco contro il sistema di potere rappresentato dalla DC e dal PCI.
La strada del movimento del ’68 era lastricata di utopie, miti rivoluzionari, settarismo marxista-leninista. Le frange più arrabbiate contro lo strapotere della Democrazia Cristiana trovarono un collegamento di lotte comuni fra studenti, lavoratori delle fabbriche, proletari e sottoproletari dei quartieri delle periferie urbane.
Si scandivano slogan inneggianti a Mao, a Che Guevara, a Lenin, a Stalin e a Marx e si organizzavano la guerriglia urbana, le lotte sociali, le autonomie operaie in fabbrica contro i sindacati tradizionali.
Nell’università “i cattivi maestri” predicavano la rivoluzione nella politica e nei costumi sessuali e furono gli anni della contestazione sino al 1974. Ovunque erano visibili i segni di battaglia: nelle università, nelle scuole medie e superiori, nelle fabbriche, nei salotti, nei festival cinematografi ci, nei premi letterari, nelle rassegne d’arte. Nella sola città di Milano si contarono 25 morti per scontri di violenza politica fra fazioni di studenti e forze di polizia.
I teorici del “gauchismo extraparlamentare” passarono dallo scontro politico all’indottrinamento dei giovani all’antagonismo armato, che si trasformò in lotta sanguinaria, sia pure in modo graduale, passando: dallo scontro di piazza, alla guerriglia urbana; dagli slogan intimidatori e minacce a comportamenti aggressivi e violenti con spranghe e catene; dalle rapine ai furgoni portavalori e alle rapine in banche per autofinanziamento agli espropri proletari; dagli scioperi dell’affitto e all’occupazioni abusive della case popolari; dai sequestri di persona, si giunse infine alla lotta armata e insurrezionale con bombe, attentati e ferimenti. Si alzò il tiro con le uccisioni mirate.
Gli anni di piombo, dal 1974 al 1984, furono gli anni della tragedia nazionale e della notte della Repubblica.
Già agli inizi degli anni ’70 a Trento, nella Facoltà di Sociologia, decine di studenti si radunavano attorno a Renato Curcio che, con Mara Cagol e Corrado Simioni , aveva fondato “Il Collettivo Metropolitano Politico numero uno”, mentre il gruppo “ L’appartamento” di Alberto Franceschini” aveva costituito il primo nucleo delle brigate rosse a Reggio Emilia.
Negli anni successivi si costituì la colonna milanese “Walter Alasia”capeggiata da Mario Moretti e quella veneta “Fabrizio Pelli” ad opera di Antonio Savasta ed Emilia Libera e che diede origine alla brigata ospedaliera Fabrizio Pelli, che morì di leucemia al Policlinico di Milano. La stella a cinque punte del terrorismo brigatista si diffonde dal 1974 in poi. Siamo di fronte alla pratica feroce e criminale contro vittime innocenti ed inermi. Fu il terrorismo dei giovani dai salotti buoni, istruiti, ben vestiti, con genitori e antenati illustri e con le mani ben curate, che sognavano di “mandare al potere la classe operaia e contadina e agiva e compiva delitti in nome del popolo”, con il quale
nulla avevano da spartire e che si autoesaltavano con la minaccia “Pagherete caro, pagherete tutto”.
L’album di famiglia del terrorismo rosso erano la Resistenza e la guerra sociale nella logica rivoluzionaria, che era mancata in Italia, perché il Partito Comunista Italiano aveva scelto la legalità democratica.
I teorici della rivoluzione mancata, motivarono la loro scelta di darsi una struttura di resistenza armata, ricorrendo alla clandestinità adducendo tre sostanziali motivi.
Il primo era quello di ritenere, dopo la strage di piazza Fontana, che in Italia fossero in atto, negli anni ’70, la strategia stragista e tentativi di golpe fascisti per portare la dittatura come in Cile, Argentina e Grecia.
Il secondo i rivoluzionari accusavano Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista occidentale, di avere tradito la Resistenza e lo ritenevano colpevole di collaborare con la DC di Aldo Moro.
Il terzo motivo, per la scelta della violenza politica organizzata, era legato allo scenario internazionale, dove in America Latina e in Grecia ebbero il sopravvento il regime dei generali e dei colonnelli.
Il terrorismo dilagò nelle maggiori città italiane: Trento, Padova, Venezia, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Pisa, Roma, Napoli. Le stragi fasciste s’intrecciano con gli attentati delle brigate rosse che sanno scegliere i loro bersagli: magistrati, politici, giornalisti, economisti, docenti universitari, poliziotti, carabinieri, guardie carcerarie, dirigenti di fabbrica, sindacalisti e cittadini comuni.
Tale strategia del terrore non portò al trionfo della classe operaia o al cambiamento di regime, ma segnò irrimediabilmente la fine delle conquiste sociali del mondo del lavoro e di tutto quel popolo progressista del mondo cattolico e marxista. Le conquiste dei lavoratori furono vanificate e bloccate, perché il terrorismo recò un danno incalcolabile alla classe operaia, che aveva lottato per lo “Statuto dei Lavoratori” e per la promozione umana e sociale dei deboli, degli oppressi e degli sfruttati. Gli opposti estremismi ponevano l’accento più sulle manifestazioni di piazza, che sulla pericolosità delle diffuse organizzazioni clandestine.
Il terrorismo segnò la sconfitta della classe operaia e fu, obiettivamente, funzionale al disegno strategico di far perdurare l’egemonia di potere della D.C. e del P.S.I. di Craxi poi.
Il terrorismo favorì, sostanzialmente ed involontariamente, la sconfitta del Movimento Operaio nel nostro Paese.
Siamo di fronte a giovani addottrinati da cattivi maestri, che predicavano violenza e menzogne ai loro pessimi allievi,
che scelsero il terrore come metodo di lotta politica.
Né dimentico che il terrorismo fu anche figlio dell’area dell’autonomia operaia, che si infiltrò all’interno delle fabbriche, per cui si scoprì che gruppi di fuoco si annidavano non solo nelle fabbriche delle città operaie Torino, Milano, Genova, Venezia, ma anche a Padova, Roma, Napoli, Reggio Calabria.
I Sindacati sottovalutarono il fenomeno brigatista e avvertirono, tardivamente, il grave pericolo della progressione terroristica. Era infatti diffusa, a sinistra, la convinzione che esistesse solo un estremismo di destra a cominciare dal Governo Tambroni, alle minacce di golpe militari, alle stragi.
Gli effetti della strage di piazza Fontana e della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli accentuarono il moto di un processo di radicalizzazione violenta dell’estrema sinistra. Le cause politiche, sociali e culturali del terrorismo rosso emersero dal 1974 in poi con l’inizio del confronto e del dialogo fra i due massimi partiti storici dell’epoca la DC e il PCI. Si accusava Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista occidentale, di avere tradita la Resistenza con la politica del “Compromesso storico prima e della Solidarietà nazionale poi”.
Il martirio di Aldo Moro, consentì, al contrario, il trionfo della DC nelle elezioni politiche del 1979. All’interno del partito di maggioranza politica si giunse alla resa dei conti.
Nel 1980 la politica di solidarietà nazionale, che si incarnava nella persona del segretario uscente della DC, Benigno Zaccagnini, fu sconfitta. La vittoria arrise a quel famigerato “preambolo anticomunista” di Carlo Donat – Cattin, che portò all’elezione di Flaminio Piccoli come Segretario della DC. L’on. Piccoli svolse un ruolo importante nella collusione con i brigatisti sequestratori dell’Assessore preambolista Ciro Cirillo, sino a contattare i vertici della camorra napoletana. Si diede poi vita, con la caduta del governo di “solidarietà nazionale” presieduto dal “divo” on. Giulio Andreotti e alla nascita del governo presieduto da Kossiga che durò in carica dal 1979 al 1980.
Nel 1983 e si avviò la lunga era governativa del primo socialista Presidente del Consiglio dei Ministri on. Bettino Craxi che, con il suo riformismo socialista, ebbe il grande merito storico di alimentare il fenomeno patologico della corruzione e delle ruberie politiche in Italia, superando, in maniera impressionate, la collaudata capacità di malgoverno della Democrazia Cristiana, madre e maestra di ogni illegalità. Il Governo Craxi durò in carica sino al 1987 ed ebbe l’unico merito politico di inserirsi nell’evoluzione del socialismo europeo.
Grazie poi al concorso eversivo del terrorismo rosso e nero, la classe operaia registrò ulteriori sconfitte e cocenti umiliazioni, a cominciare dal referendum craxiano sull’abolizione della scala mobile per i lavoratori, che vide schierarsi, in prima fi la, per tale taglio, il salottiero sindacalista Fausto Bertinotti, all’epoca amico e sfegatato sostenitore di Bettino Craxi.
In politica e in economia si affermava arrogantemente la convinta certezza che in Italia non esisteva una questione morale. L’illegalità imperante aveva sancito la prassi che ogni ruberia restasse sempre impunita e che fosse legittima la voracità felina dei partiti.
Da ciò il discreto delle istituzioni e la delegittimazione dei maggiori partiti politici, travolti agli inizi degli anni ’90 da “Tangentopoli”.
Oggi esiste una sostanziale identità fra le vecchie e le nuove b.r., a causa di una comune matrice ideologica e di un’analoga tendenza a privilegiare i conflitti del lavoro, come terreno di lotta.
Negli anni Settanta si chiamava “operaismo armato o lotta del proletariato e sottoproletariato urbano contro il nemico di classe nelle fabbriche e sui luoghi di lavoro”.
Ecco il motivo per cui il terrorismo di sinistra ha scelto i suoi obiettivi fra i migliori e indifesi ed erano impegnati a migliorare la società, credendo nel riformismo.
Non ci fu guerra civile, perché la quasi totalità dei morti era disarmata. Oggi il neo – brigatismo alligna in settori del pubblico impiego, del terziario, del precariato, della sinistra radicale e degli anarchici – insurrezionalisti. Il terrorismo odierno si alimenta, altresì, di una pericolosa concezione fondamentalista a base religiosa, che identifica il nemico come il “Male assoluto” da combattere in una guerra totale senza limiti di spazio o di tempo. L’Italia civile e democratica, unita in tutte le sue componenti, è tuttora chiamata a sconfiggere il terrorismo e la violenza di destra e di sinistra che ritornano ciclicamente, come il “male della storia” da condannare ed estirpare ora e sempre e tuttin siamo chiamati a testimoniare in termini di valori e fedeltà democratica.
d) I fermenti civili, culturali e politici nel periodo degli opposti estremismi
La maturità adulta della mia esperienza di vita non fu altro che ripercorrere l’impegno di dedizione al Circolo culturale Carlo Perini, che operava in un clima esasperato di conflittualità politica, nel triste periodo della strategia della tensione, degli opposti estremismi, della contestazione studentesca e degli anni di piombo.
La strada del Movimento del 1968 era lastricata di utopie, di miti rivoluzionari, di settarismo marxista-leninista.
Il quartiere di Quarto Oggiaro – Vialba fu scelto come campo di battaglia per la predicazione e l’applicazione della guerriglia urbana da parte delle frange più arrabbiate ed eversive della contestazione giovanile, al fine di trovare un collegamento fra studenti, lavoratori delle fabbriche, proletari e sottoproletari della periferia milanese. La sede del Centro sociale di via Val Trompia, ove da circa 15 anni operava il Circolo da me fondato, divenne il luogo d’incontro e di scontro dei vari collettivi giovanili.
Si ricordano, tra le miriadi di sigle, alcune come: Comitato Unitario di Base, Avanguardia operaia, Lotta Continua, Partito Comunista Internazionalista, Potere e Autonomia operaia, Comitato Agitazione lavoratori studenti, Comitato antifascista antimperialista, Collettivo autonoma Architettura, Comitato di Lotta di Ingegneria, Collettivo Antonio Gramsci, Manifesto, Unione Inquilini, Anarchici insurrezionalisti, Comitato Leninisti, Movimento Studentesco, Lotta Comunista, Comitato occupanti, Servire il Popolo, Situazione creativa, Partito Comunista combattenti.
Tante altre sigle nascevano a livello nazionale come: i nuclei Armati Proletari datato 1975, Partito Comunista Combattenti, Partito della Guerriglia, Potere Rosso, Azione Rivoluzionaria, Gruppi Armati Barbagia Rossa, (1977) con Emilia Libera e Antonio Savasta), Comunisti Organizzati per la Liberazione Proletaria, Collettivi Potere Operaio, Formazioni Comuniste Combattenti, Movimento Comunisti Rivluzionari, nel Lazio (1979), Nucleo Comunsti Territoriali a Torino (nel 1979), Primi Fuochi di Guerriglia in Campania (1977), Azione Rivoluzionaria in Toscana (1977), Brigate rosse per la Costruzione del Partito Comunista Combattente a Roma (1975).
Si contano poi miriadi di altre sigle poco significative che facevano parte della galassia rivoluzionaria.
Ogni volta che la polizia scacciava gli occupanti abusivi dalle case popolari assegnate ad altre famiglie povere e aventi diritto, la sede di via Val Trompia diventava il loro rifugio e il loro bivacco.
Nessuno dei ricchi organizzatori, che manipolavano e plagiavano le famiglie bisognose di alloggio e che possedevano palazzi e ville, pensarono mai di mettere a disposizione i loro sontuosi appartamenti per le famiglie sfrattate e per i senza tetto.
Nelle Università si predicava la rivoluzione nella politica e nei costumi sessuali. Furono gli anni della contestazione giovanile, del femminismo e, nel mondo cattolico, del dissenso ecclesiale e delle “comunità di base”.
Nelle periferie urbane la lotta si esprimeva attraverso lo sciopero dell’affitto da parte degli assegnatari di case popolari, l’esproprio proletario, le razzie ai supermercati, il sei politico che gli insegnanti, cosiddetti “democratici”, concedevano agli alunni delle scuole elementari, medie inferiori e superiori.
La scuola non poteva, né doveva bocciare i fi gli dei lavoratori e il sei politico fu rivendicato anche dai collettivi studenteschi all’interno delle università con esami di gruppi garantiti dalla promozione.
A livello ecclesiale, il dissenso si manifestava con le esperienze delle comunità di base e con l’azione di quegli esponenti cattolici, che s’ispiravano alla Teologia della Rivoluzione o della Liberazione, alle aperture e al dialogo del post-Concilio.
A livello internazionale, il punto di riferimento dei cattolici del dissenso, che credevano nella legittimità della ribellione contro lo sfruttamento e la tirannia, fu Camillo Torres, il prete guerrigliero, morto nel 1966, per difendere i “campesinos” dell’America Latina.
Per i cattolici democratici o progressisti i punti di riferimento furono Alfred Ancel, vescovo di Lione e prete operaio ed Helder Camera, vescovo di Recife nel Nord-Ovest del Brasile; guide carismatiche che, rifiutando la violenza come strumento di lotta sociale, si facevano interpreti delle istanze di giustizia e promozione umana avanzate dalla “Chiesa dei Poveri”.
In Italia fu Don Milani, con la sua famosa “Lettera ad una professoressa”, ad innescare un processo di contestazione nel mondo della scuola tradizionale, al fine di rivendicare i diritti all’istruzione e di promuovere metodi didattici non selettivi e punitivi.
A Trento decine di studenti della Facoltà di Sociologia si radunavano attorno a Renato Curcio, che venne anche a Quarto Oggiaro per solidarizzare con il gruppo degli occupanti abusivi delle case popolari.
Si sa che Curcio scelse, dopo alcuni anni, miseramente, la strada sanguinosa del terrorismo e la sua ragazza, Mara Cagol, per proteggergli la fuga, fu uccisa in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine.
Nelle fabbriche i sindacati di base o dell’autonomia operaia si contrapponevano ai sindacati tradizionali per erodere il potere contrattuale e rivendicare la supremazia sui lavoratori, ricorrendo ad insulti, minacce, atti intimidatori prima di sfociare nella scelta terroristica.
Gli intellettuali si travestivano da studenti o da operai fra rulli di tamburi, pugni alzati, pifferi latino – americani, striscioni e drappi enormi (immenso quello di “Servire il Popolo” con quattro gatti al seguito), cortei, manganelli, passamontagna, sciarpe palestinesi e poi gli immancabili scontri di piazza, spesso gravi, tra studenti e polizia con il fumo dei candelotti lacrimogeni e gli scoppi delle bottiglie incendiarie.
Ricordo che io stesso, involontariamente, mi trovai qualche volta coinvolto in tali cortei di piazza e assistevo agli scontri, simpatizzando più per gli studenti che per le forze dell’ordine, che reagivano pesantemente.
I figli della buona borghesia, abituati a salotti, festini e champagne, si atteggiavano ad estremisti rivoluzionari e ad amici della classe operaia. Agli scontri dei giovani di sinistra armati di spranghe, di stalin (bastone nascosto sotto l’impermeabile) e di bottiglie molotov seguivano le rituali assemblee, le discussioni, le accuse, le reciproche recriminazioni fra la stessa galassia dei gruppuscoli della sinistra extraparlamentare, quasi sempre in concorrenza tra loro per accaparrarsi la piazza e per prevaricare sulla maggioranza degli studenti, facendo leva su una retorica che, a forza di predicare la violenza, finì per praticarla, scegliendo, miseramente, di entrare nella clandestinità della lotta armata.
Molti intellettuali e universitari partivano ancora per Parigi in treno, con biglietti d’aereo o con passaggi in macchina per andare ad assistere ad assemblee e a cortei dei rivoltosi, sempre più isolati dal popolo.
Andavano e ritornavano in fretta per ripartire alla volta di Torino, Trento, Milano, Pisa, Roma dove gli appuntamenti con gli scontri si susseguivano ininterrotti.
La banda di via Osoppo di Milano, condannata all’ergastolo per gli omicidi commessi durante le rapine, si riscoprì miracolosamente rivoluzionaria. I tre banditi – assassini Cavallero, Notarnicola e Rovoletto, nelle sedute del processo, presentarono le loro rapine come atti rivoluzionari di esproprio proletario e si dichiararono prigionieri politici, come i terroristi.